Il diritto alla riparazione dei beni: in vigore la Direttiva UE 2024/1799

In data 30 luglio 2024 è entrata in vigore Direttiva UE 2024/1799 che stabilisce il diritto alla riparazione dei beni.

A seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, in data 10 luglio 2024, la Direttiva UE 2024/1799 è entrata in vigore a partire dal ventesimo giorno successivo.

Siamo quindi all’ultimo step dell’iter normativo comunitario poiché manca soltanto l’attuazione da parte dei singoli Stati Membri, i quali dovranno adeguare la relativa normativa interna entro il 31 luglio 2026.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli, facendo seguito al precedente articolo in merito all’approvazione del testo della direttiva, sta effettuando ogni approfondimento di natura pratica al fine di poter coadiuvare i clienti, che operano nel settore della vendita di beni di consumo e della fornitura di servizi di assistenza, nella gestione di modelli di business che siano compliant con i prossimi adeguamenti normativi.

1. L’importanza degli obblighi informativi sul diritto alla riparazione

E’ ormai noto che la finalità principale della direttiva sia la promozione e la semplificazione della riparazione dei beni di consumo, incentivando i consumatori a fare riparare il bene anche al di fuori della garanzia legale, per un consumo più sostenibile e per la riduzione dei rifiuti.

La normativa muove dai principi, fissati dalla Direttiva UE 2019/771 , di durabilità, riparabilità e riutilizzabilità dei beni mobili materiali autonomi, come anche sanciti dalla più recente Direttiva UE 2024/825, relativa alla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione.

Partendo da questi principi, la Direttiva UE 2024/1799 si focalizza sull’importanza degli obblighi informativi sulla riparazione a carico dei “riparatori”.  Essi sono definiti come i soggetti che forniscono un servizio di riparazione anche al di fuori della garanzia legale, compresi i fabbricanti e i venditori del bene che forniscono tale servizio, ma anche, diversamente da questi ultimi, i c.d. fornitori di servizi di riparazione indipendenti.

Tutti questi soggetti hanno l’obbligo di fornire al consumatore il Modulo europeo di informazioni sulla riparazione redatto secondo il modello allegato alla direttiva.

Il modulo riporta nel dettaglio ogni informazione sull’identità del riparatore, sul bene da riparare, sulla natura del difetto e il tipo di riparazione proposta, il prezzo, e le ulteriori condizioni previste per la riparazione e relative caratteristiche.

Tale modulo dovrà, quindi, essere fornito su un supporto durevole entro un periodo di tempo ragionevole dopo la richiesta e prima che il consumatore sia vincolato da un contratto per la fornitura dei servizi di riparazione.

Tali informazioni saranno vincolanti e non modificabili da parte del riparatore per un periodo di almeno 30 giorni dalla data di consegna del modulo al consumatore.

2. L’obbligo di riparazione entra nel vivo

In forza della Direttiva UE 2024/1799, il fabbricante del bene ha l’obbligo di riparare i beni, a meno che la riparazione non sia impossibile.

La normativa regola anche le c.d. “specifiche di riparabilità”: ovvero le specifiche tecniche relative alle attività di smontaggio, all’accesso alle parti di ricambio, agli strumenti per la riparazione, a seconda delle categorie dei beni di consumo di riferimento come da elenco allegato nella direttiva (tra cui beni di elettronica di consumo e di informatica,  elettrodomestici, prodotti di telefonia).

Se la riparazione risulta oggettivamente impossibile, la normativa europea raccomanda l’offerta al consumatore di beni ricondizionati in sostituzione.

Un aspetto di rilevante novità è la facoltà del consumatore – fermo l’obbligo di riparazione in capo al fabbricante a prescindere dalla natura del malfunzionamento – di rivolgersi a qualsiasi riparatore di propria scelta. Dunque, non potrà più essere giustificato il rifiuto da parte del fabbricante di effettuare la riparazione per il solo fatto che altri riparatori abbiano eseguito una riparazione precedente.

Tale libera scelta a favore del consumatore viene poi agevolata dalla previsione della piattaforma on line europea per consentire il reperimento di riparatori o venditori di beni ricondizionati.

A ulteriore rafforzamento della tutela del consumatore, nel testo definitivo della direttiva pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea è stata confermata la modifica alla Direttiva UE 2019/771 in merito alle tutele al consumatore in caso di vizi e difetti di conformità, con riguardo all’estensione della garanzia del venditore per un periodo di dodici mesi successivi alla riparazione avvenuta per rendere conforme il bene.

3. Gli effetti pratici

Consapevole della portata pratica delle nuove disposizioni, il legislatore comunitario ha previsto che la Commissione potrà adottare orientamenti per aiutare le piccole e medie imprese a conformarsi ai requisiti e obblighi stabiliti dalla Direttiva UE 2024/1799, demandando poi agli Stati Membri, oltre alla relativa normativa di attuazione, la previsione del meccanismo sanzionatorio.

A questo punto, pur dovendo attendere i tempi per l’attuazione a livello nazionale, si possono già iniziare a intravedere potenzialità di business ulteriori per varie categorie di operatori, tra cui i riparatori indipendenti e i soggetti che forniscono servizi di assistenza tecnica.

Il diritto alla riparazione dei beni: approvata la direttiva UE

Approvata la direttiva UE che stabilisce il diritto alla riparazione dei beni.

Il Parlamento Europeo ha infatti approvato il testo definitivo della direttiva il 23 aprile 2024, poi approvato dal Consiglio il 30 maggio 2024.

Mancano solo gli ultimi step:

  • la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea;
  • l’entrata in vigore della direttiva il ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione;
  • il recepimento da parte degli Stati Membri mediante la normativa interna di attuazione entro i 24 mesi successivi all’entrata in vigore.

Viene sancito un nuovo diritto per i consumatori: il diritto a fare riparare i beni in modo più semplice, a vantaggio di una maggiore sostenibilità ambientale.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli, che già aveva affrontato il tema con un precedente articolo a seguito degli ultimi sviluppi, sta analizzando l’effetto pratico di tale normativa per gli operatori delle vendite di determinate categorie di beni di consumo.

  1. I principi fissati dal testo definitivo della direttiva

Fine principale della direttiva è la promozione e la facilitazione della riparazione dei beni di consumo, incentivando i consumatori a fare riparare il bene anche al di fuori della garanzia legale.

Il tutto parte dalla necessità di promuovere un consumo più sostenibile, agevolando la riparazione dei prodotti rispetto alla loro sostituzione, e quindi riducendo i rifiuti.

Non è infatti un caso che l’approvazione del testo definitivo della direttiva sia avvenuta quasi contestualmente all’adozione, da parte del Consiglio europeo, del Regolamento sulla Progettazione Ecocompatibile (Ecodesign for Sustainable Products Regulation), ad oggi in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.

Tale Regolamento definisce in maniera aggiornata e strutturata i requisiti  per la progettazione di beni nel rispetto dei tre principi fondamentali della durabilità, riparabilità e riutilizzabilità. Principi, questi ultimi, che costituivano gli obiettivi in parte già fissati nella Direttiva UE 2019/771 relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita dei beni, al fine di favorire il mantenimento di un ciclo di vita dei prodotti che comprenda il riutilizzo, la riparazione e il ricondizionamento.

Ed è proprio il richiamo alla Direttiva UE 2019/771 a definire l’ambito di applicazione della direttiva in esame a favore dei consumatori. La direttiva sul “diritto alla riparazione” ha a oggetto qualsiasi bene mobile materiale autonomo nonché qualsiasi bene materiale che incorpora o è interconnesso con un contenuto digitale o un servizio digitale.

Dunque, interessati all’applicazione della direttiva sul “diritto alla riparazione” sono, per esempio, gli operatori esercenti nell’ambito della produzione e del commercio dei beni di elettronica di consumo, di elettrodomestici, di prodotti di telefonia e dell’erogazione di servizi di assistenza tecnica a questi accessori.

  1. Le principali novità introdotte

Quali le principali novità che verranno introdotte con l’entrata in vigore della direttiva del right to repair?

La direttiva impone l’obbligo in capo al fabbricante di riparare il bene, su richiesta del consumatore, agevolando allo stesso tempo il consumatore nella scelta dei servizi di riparazione da parte di altri riparatori.

Infatti, al fine di agevolare la scelta, è previsto un Modulo Europeo di informazioni sulla riparazione standard che verrà fornito gratuitamente da parte dei riparatori ai consumatori, recante le informazioni sul riparatore e sulle condizioni di riparazione, la natura del difetto e il tipo di riparazione proposta e relative tempistiche.

Tale obbligo di informativa è previsto in capo anche allo stesso fabbricante, all’importatore o al distributore, i quali saranno tenuti a mettere a disposizione le condizioni sui loro servizi di riparazione, tenuto conto dell’obbligo di riparazione a richiesta del consumatore previsto a loro carico ad eccezione del caso in cui la riparazione sia impossibile.

Dunque, il fabbricante non potrà più rifiutare la riparazione per motivi esclusivamente economici, così come non potrà rifiutare la riparazione per il solo fatto che precedentemente sia stata eseguita una riparazione da parte di altri riparatori.

L’obbligo di riparazione, quindi, viene imposto ai fabbricanti – dietro pagamento di un prezzo da parte del consumatore o a titolo gratuito – anche in riferimento a difetti che non sono causati dalla non conformità dei beni al contratto di vendita. Il tutto secondo condizioni chiare e ragionevoli al fine di non disincentivare la scelta del consumatore alla riparazione del bene.

Infine, tra le novità di maggiore interesse, la direttiva propone la modifica alla Direttiva UE 2019/771 in merito alle tutele al consumatore in caso di vizi e difetti di conformità, stabilendo l’estensione della responsabilità del venditore per un periodo di dodici mesi successivi alla riparazione avvenuta per rendere conforme il bene.

  1. Considerazioni finali

La normativa comunitaria sul “diritto alla riparazione” avrà importanti ripercussioni pratiche per tutti gli operatori del settore della vendita dei beni di consumo e della fornitura di servizi di assistenza tecnica.

Molti gli adeguamenti previsti nei confronti dei consumatori, altrettante le opportunità di business che ne possono derivare per gli operatori.

Saranno necessarie ulteriori e approfondite analisi e  valutazioni a seguito della pubblicazione del testo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea e quando verrà trattato il recepimento nell’ambito della normativa nazionale.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli assiste costantemente gli operatori del settore per lo sviluppo di ogni adeguamento del proprio business tenendo in considerazione i prossimi sviluppi normativi nell’ambito del mercato interno.

 

 

Le polizze assicurative nella cessione del quinto dello stipendio e delegazione di pagamento

Quando parliamo di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o delegazione di pagamento, non va trascurato un elemento tipico di tali istituti: le polizze assicurative accessorie al credito.

Parliamo delle coperture assicurative connesse alle cessioni del quinto dello stipendio o delegazioni di pagamento contro quegli eventi che possono sopravvenire nel corso della durata del finanziamento a danno del debitore.  Eventi, che ove sopraggiungano, potrebbero non consentire il rispetto dell’obbligo di pagamento delle rate mensili del finanziamento.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli ha spesso assistito intermediari finanziari nell’analisi delle condizioni di tali polizze assicurative, nonché nella gestione delle relative controversie.

Un riepilogo sui finanziamenti in esame

I prestiti personali contro cessione del quinto dello stipendio e delegazione di pagamento, regolamentati dal DPR 180/1950, sono erogabili da intermediari finanziari e istituti bancari e vengono concessi  ai consumatori.

Nell’ambito di tali finanziamenti, il consumatore si obbliga verso il finanziatore al rimborso rateale dell’importo finanziato:

  1. mediante la cessione (per il caso di cessione del quinto dello stipendio), all’istituto finanziatore, del credito che il consumatore vanta nei confronti del proprio datore di lavoro, nella misura massima della quota di 1/5 del proprio stipendio mensile;
  2. delegando (per il caso di delegazione di pagamento) il proprio datore di lavoro a versare direttamente al finanziatore la quota mensile del proprio stipendio.

Pur con le dovute differenziazioni, sia per la cessione del quinto dello stipendio, sia per la delegazione di pagamento, è il datore di lavoro a trattenere le quote mensili dello stipendio, del cedente o delegante, e a versarle direttamente all’istituto finanziatore.

I prestiti personali contro cessione del quinto dello stipendio o delegazione di pagamento presentano quindi un livello di garanzia sull’adempimento maggiore rispetto ai semplici prestiti personali. Ciò, in quanto l’obbligazione di pagamento viene trasferita sul datore di lavoro.

Ma non solo.

Un’ulteriore garanzia prevista per legge

Il legislatore pone l’attenzione alle ipotesi in cui particolari eventi possano sopraggiungere nel corso della durata del rapporto e incidere negativamente sul regolare rispetto del piano di ammortamento contrattuale.

È così che il DPR 180/1950, all’art. 54 comma 1, stabilisce che le cessioni del quinto dello stipendio (e le delegazioni di pagamento in quanto istituti a queste ultimi assimilabili) devono avere la garanzia dell’assicurazione sulla vita e contro i rischi di impiego od altre malleverie che ne assicurino il recupero nei casi in cui, per cessazione o riduzione di stipendio, non sia possibile la continuazione dell’ammortamento o il recupero del residuo credito.

Dunque, abbiamo due tipologie di coperture assicurative obbligatorie: una a copertura dal rischio di decesso del soggetto finanziato; l’altra a copertura da rischi che portano a un unico evento ultimo: il mancato rispetto dell’obbligo di pagamento delle rate previste dal piano di ammortamento.

Le polizze assicurative accessorie al credito e il ramo assicurativo di appartenenza

Tralasciando in questa sede la polizza assicurativa sulla vita (a copertura dal rischio di decesso), analizziamo la copertura dal rischio di insolvenza non derivante dal decesso del soggetto finanziato.

Ai fini della sua definizione sono intervenute sia l’Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni (Ivass) sia la Banca d’Italia.

– L’intervento dell’Ivass

L’Ivass (https://www.ivass.it/) mediante il Regolamento 29/2009, classifica, all’art. 14, in due rami distinti la macrocategoria delle assicurazioni prestate a fronte di finanziamenti con cessione del quinto dello stipendio (e delegazione di pagamento) a seconda:

  1. che si tratti del contratto di assicurazione stipulato direttamente dall’istituto finanziatore in qualità di contraente/assicurato per garantirsi dal rischio di mancato adempimento dell’obbligazione di pagamento da parte del debitore. In tal caso il contratto assicurativo rientra nel ramo 14. Credito, nell’ambito dei rischi “perdite patrimoniali derivanti da insolvenze”;
  2. che si tratti del contratto di assicurazione stipulato dal debitore/assicurato per garantirsi dall’impossibilità di adempiere all’obbligazione di pagamento a favore dell’istituto finanziatore a causa della perdita dell’impiego. In tal caso il contratto assicurativo rientra nel ramo 16. Perdite pecuniarie di vario genere, nell’ambito dei “rischi relativi all’occupazione”.

A seconda dell’una o dell’altra ipotesi cambiano la struttura contrattuale, le norme per il collocamento e l’adesione alla polizza, i diritti spettanti all’assicuratore, le posizioni dell’istituto finanziatore e del debitore cedente/delegante nei confronti della compagnia assicurativa. In entrambi i casi viene però raggiunto quel fine ultimo di garanzia, imposto dall’art. 54, comma 1, del DPR 180/1950, dal rischio di mancato adempimento dell’obbligazione di pagamento.

– L’Intervento della Banca d’Italia

Banca d’Italia (https://www.bancaditalia.it/), mediante i propri Orientamenti di Vigilanza in materia di cessione del quinto dello stipendio e operazioni assimilabili (Delibera 145/2018), ha ribadito che per la copertura del rischio di insolvenza non derivante da decesso del debitore sono in uso sul mercato due schemi contrattuali:

  1. la polizza “credito”
  2. la polizza “perdite pecuniarie”,

confermando la stessa classificazione dell’Ivass, ed evidenziando le distinzioni sul soggetto contraente le polizze, sulla sussistenza o meno del diritto di surroga della compagnia assicurativa nei confronti del debitore, sul soggetto beneficiario che ne sostiene i costi.

Considerazioni finali

In riferimento quindi alle macrocategorie di contratti assicurativi suddette, gli intermediari finanziari e bancari devono avere presenti le singole caratteristiche che distinguono una soluzione rispetto ad un’altra.

Ciò, in quanto la relativa scelta ha importanti ripercussioni sull’intera gestione del contratto di finanziamento con il cliente consumatore finale.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli, con il suo team di banking law, in varie occasioni ha affiancato gli operatori del settore nell’analisi e nell’assistenza su tali tematiche, tenendo presenti le interpretazioni in merito fornite dalle Autorità di Vigilanza.

 

Il diritto alla riparazione dei beni: a che punto siamo?

Possibili novità in arrivo dalla normativa comunitaria in merito ai rimedi concessi ai consumatori in caso di difetto di conformità di alcuni beni oggetto di vendita.

Il 21 novembre 2023 il Parlamento Europeo ha approvato il testo – con vari emendamenti rispetto alla stesura iniziale – di una proposta di direttiva recante le norme comuni che promuovono la riparazione dei beni.

Lo scopo è quello di individuare nella riparazione il rimedio principale di tutela verso i consumatori in caso di difetto di conformità di beni mobili facenti parte di determinate categorie.

A tale importante passaggio seguiranno i colloqui tra il Parlamento Europeo e il Consiglio Europeo, dovendosi attendere quindi la posizione definitiva che adotterà il Consiglio stesso per l’approvazione della direttiva europea in materia di “diritto alla riparazione”.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli, in considerazione dalla portata pratica che porterebbe un tale sviluppo normativo agli operatori del settore delle vendite di determinati beni di consumo, e dei servizi connessi, sta monitorando l’evolversi dei vari passaggi.

1. L’attuale quadro normativo interno

La materia della vendita dei beni di consumo è disciplinata a livello nazionale dal D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), nello specifico dal capo I del titolo III della parte IV, sezione dedicata alle tutele del consumatore verso il produttore e il venditore dei beni di consumo, che dispone gli strumenti di tutela e i rimedi in caso di vizi di conformità del bene acquistato.

Tale normativa nazionale, come recentemente modificata e integrata dal D. Lgs. 4 novembre 2021, n. 170, attuativo della Direttiva UE 2019/771 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti dei contratti di vendita dei beni, interviene prima di tutto sulla definizione di “conformità” del bene, inteso quale bene mobile materiale anche da assemblare, e quale bene mobile materiale che incorpora, o è interconnesso con, un contenuto digitale o un servizio digitale.

Il concetto di “conformità” del bene venduto al consumatore, secondo il Codice del Consumo, è riferito sia in senso soggettivo, ovvero con riguardo alla descrizione del bene fornita già mediante l’attività pubblicitaria e con riguardo all’utilizzo particolare voluto dal consumatore e da questi portato a conoscenza del venditore, sia in senso oggettivo, intesa anche in termini di durabilità e funzionalità del bene.

Quali sono gli strumenti che ha a propria tutela il consumatore nel caso in cui non sussista la conformità del bene o, meglio, nel caso di “difetto di conformità”? Il Codice del Consumo stabilisce a riguardo la garanzia di conformità a carico del venditore, meglio nota come garanzia legale.

La garanzia legale consiste nel diritto a favore del consumatore, di ottenere come rimedio al difetto di conformità del bene che si manifesti nell’arco di due anni a partire dalla sua consegna (un anno per il caso di beni usati):

  • il ripristino della conformità del bene, potendo scegliere il consumatore tra la riparazione o la sostituzione del bene;

  • la riduzione proporzionale del prezzo o la risoluzione del contratto di vendita al verificarsi delle condizioni indicate all’art. 135-bis del Codice del Consumo (ad es. nel caso in cui il venditore non abbia effettuato la riparazione o la sostituzione, o qualora il difetto di conformità sia talmente grave da giustificare l’immediata riduzione del prezzo o la risoluzione del contratto).

Alla garanzia legale viene poi affiancata la garanzia convenzionale, ovvero l’impegno di un venditore o di un produttore, offerto in via facoltativa al consumatore e in aggiunta agli obblighi di legge relativi alla garanzia legale di conformità, di rimborsare il prezzo pagato, sostituire, riparare o intervenire altrimenti sul bene, qualora il bene non corrisponda alle caratteristiche previste o a qualsiasi altro requisito anche non strettamente connesso alla conformità.

2. La nuova proposta di direttiva europea

La nuova proposta di direttiva europea istituisce il “diritto alla riparazione”, andando a modificare l’attuale assetto dei rimedi riconosciuti a favore del consumatore, che a tutt’oggi prevedono la possibilità di scelta, per il consumatore stesso, tra il rimedio della riparazione e quello della sostituzione del bene in caso di difetto di conformità.

Il tutto parte dall’esigenza di garantire sia un elevato livello di protezione dei consumatori, sia una maggiore circolarità all’interno dell’economia. Infatti, uno degli obiettivi principali della proposta in discussione è quella di promuovere un consumo più sostenibile, agevolando la riparazione dei prodotti difettosi rispetto alla loro sostituzione, e quindi riducendo i rifiuti.

Scopo della proposta di direttiva sarebbe infatti quello di migliorare – nell’ambito della c.d. “transizione verde” – il funzionamento del mercato interno secondo gli obiettivi già fissati nella citata Direttiva UE 2019/771 e nella Direttiva 2009/125/CE relativa all’istituzione di un quadro per l’elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti connessi all’energia, favorendo il mantenimento di un ciclo di vita dei prodotti che comprenda il riutilizzo, la riparazione e il ricondizionamento.

Il richiamo, nella proposta in esame, alla Direttiva 2009/125/CE inquadra il perimetro della tipologia dei beni a cui le nuove disposizioni sarebbero applicabili; tra questi, soprattutto i beni di elettronica di consumo, gli elettrodomestici, i prodotti di telefonia. Tutte tipologie di prodotti a cui la vigente normativa nazionale e regolamentare pone particolare attenzione con riguardo alle procedure di smaltimento dei rifiuti (Raee – Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche).

Per queste tipologie di prodotti, quindi sarebbe prevista l’incentivazione all’attività di riparazione del bene di contro alla sua sostituzione. Ciò, a meno che la riparazione risulti impossibile da un punto di vista giuridico o arrechi inconvenienti per il consumatore.

La nuova proposta di direttiva poi intende prevedere il diritto del consumatore a richiedere – a un costo ragionevole – la riparazione anche successivamente alla scadenza della garanzia legale con la previsione a carico dei produttori dell’obbligo di fornire al consumatore tutte le informazioni relative alla riparazione, quali il prezzo della riparazione e dei pezzi di ricambio.

A tal fine la proposta di direttiva ha l’obiettivo di uniformare tutte le informazioni a carico dei produttori verso i consumatori in merito ai servizi di riparazione, intendendo definire un modello di formato standard per la presentazione di tali servizi al fine di consentire ai consumatori di valutare e confrontare agevolmente i servizi medesimi.

Un ruolo importante verrebbe assegnato ai c.d. riparatori indipendenti, per i quali, al fine di garantire la corretta esecuzione del principale rimedio della riparazione a favore del consumatore anche al di fuori della garanzia legale, sarebbe previsto l’agevole accesso a tutte le parti di ricambio e a tutti gli strumenti e informazioni relative alla riparazione.

Per finire poi con la previsione di responsabilità del venditore o del produttore, verso il consumatore, per qualsiasi difetto di conformità che si manifesti entro un anno dalla consegna del bene riparato.

3. Considerazioni finali

Analizzando la proposta di direttiva in esame, il condizionale è d’obbligo.

Appaiono però fin da ora interessanti gli obiettivi che ha fissato il Parlamento Europeo nella definizione del testo che sarà oggetto di negoziato ai fini della predisposizione del testo definitivo.

Tanti gli aspetti pratici, come visto sopra, che ne deriverebbero qualora la proposta di direttiva venisse accolta e approvata.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli affianca gli operatori del settore, assistendoli allo sviluppo nella definizione del modello di business anche alla luce di quelle che potrebbero essere le prossime evoluzioni normative, prima a livello di normativa comunitaria e, successivamente, a livello di normativa interna di attuazione.

Pubblicheremo tutti gli aggiornamenti sul diritto alla riparazione non appena saranno disponibili nuove informazioni.

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Il recupero crediti nella cessione del quinto della pensione.

Al giorno d’oggi, gli intermediari finanziari e bancari si trovano sempre più spesso ad affrontare la necessità di effettuare il recupero di un credito appartenente a una particolare tipologia di finanziamento. Parliamo dei finanziamenti di prestito personale contro cessione del quinto della pensione.

Ma qual è la natura di questo tipo di credito?

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli ha maturato una notevole esperienza nel settore del recupero credito, assistendo la propria clientela anche nel caso di crediti derivanti da cessioni del quinto della pensione.

  • Il finanziamento rimborsabile mediante cessione del quinto della pensione

Il finanziamento contro cessione del quinto della pensione è una tipologia di prestito personale erogabile da intermediari finanziari – iscritti nell’Albo Unico tenuto dalla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 106 del Testo Unico Bancario (TUB) – ed intermediari bancari, che viene concesso  ad un soggetto privato (consumatore).

Secondo tale schema contrattuale, il consumatore si obbliga verso il finanziatore al rimborso rateale dell’importo finanziato mediante la cessione, del credito che il consumatore stesso vanta nei confronti dell’ente previdenziale  della propria pensione (nella misura massima di 1/5 della pensione stessa).

Quindi tale operazione, disciplinata dal DPR 180/1950 e dall’art. 1264 del codice civile, consiste in una vera e propria cessione di credito che vede interessati i seguenti soggetti:

  1. il cliente consumatore, detto cedente;
  2. l’istituto finanziatore (banca o intermediario finanziario), detto cessionario, a favore del quale il cliente cede il proprio credito costituito dalla quota mensile del trattamento pensionistico;
  3. l’ente previdenziale, detto debitore ceduto, quale nuovo soggetto obbligato nei confronti del cessionario, alla trattenuta e al versamento diretto mensile delle quote della pensione del cedente.

Ciò, affinché il finanziatore si veda rimborsato l’importo finanziato, oltre gli interessi e le spese come riportati nel contratto di finanziamento, secondo le scadenze previste nel piano di ammortamento e fino al soddisfacimento dell’intero credito.

  • I soggetti coinvolti

Quindi, una volta perfezionata tale operazione, il soggetto obbligato nei confronti del cessionario – per effetto della notifica dell’operazione stessa – diventa l’ente previdenziale.

Dall’altra parte, a seguito del perfezionamento dell’operazione di cessione, il titolare del credito derivante dal trattamento pensionistico è il cessionario.

Ciò rappresenta per gli intermediari finanziari e bancari un’ampia forma di garanzia. Infatti il soggetto che è obbligato al versamento delle quote del quinto della pensione è  l’ente previdenziale, soggetto dotato di una più ampia solidità anche economica, rispetto al cliente consumatore, il quale non sempre si trova in condizioni di potere provvedere regolarmente al pagamento delle rate.

Questo non vuole dire che il cedente, una volta perfezionatosi questo schema contrattuale, rimanga totalmente estraneo a tale operazione.

Possono infatti accadere delle ipotesi in cui il cessionario debba rivolgere in ultima istanza le proprie attività di recupero del credito proprio nei confronti del cedente.

E’ il caso, per esempio, in cui il cedente si trovi coinvolto quale soggetto passivo  in una procedura concorsuale o, più nello specifico di liquidazione giudiziaria, secondo la procedura di cui al D. Lgs. 14/2019 di recente attuazione.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli ha affrontato in varie occasioni tale casistica, offrendo consulenza legale alla propria clientela al fine di risolvere tutte le questioni relative ad una tematica così specifica.

  • Questioni ancora aperte

La domanda principale da porsi è come verrebbe riconosciuto in tale caso il credito fatto valere dal creditore cessionario.

Infatti, se da un lato è chiara la titolarità del credito in capo al creditore cessionario per effetto della cessione intervenuta ai sensi del DPR 180/1950, così come è chiara la certezza del credito, determinato sia in forza del contratto di finanziamento che mediante la comunicazione preliminare da parte dell’ente pensionistico in merito alla quota di pensione cedibile, dall’altro lato è necessario porsi la domanda sulla avvenuta maturazione ed esigibilità del credito.

Ovvero: è effettivamente maturato il credito, e quindi esigibile ai fini dell’ammissione della posizione del cessionario nello stato passivo della procedura concorsuale o è da intendersi come credito futuro poiché “a formazione progressiva” e dunque non ancora esigibile?

Tale domanda assume importanti rilievi ai fini del riconoscimento della pienezza del credito del cessionario in sede di procedura di ammissione allo stato passivo concorsuale e, soprattutto, ai fini del riconoscimento della natura privilegiata o meno del credito, trattandosi comunque di credito derivante da trattamento pensionistico.

Tema questo, che si focalizza sul momento in cui effettivamente il cedente matura il diritto al percepimento della singola quota mensile della pensione, più che sulla previsione in sé – al momento del perfezionamento dell’operazione di cessione  – di detto percepimento.

La questione è dibattuta.

  • Considerazioni finali

Gli intermediari finanziari e bancari, nella gestione delle operazioni e delle procedure di recupero dei crediti nell’ambito dei finanziamenti contro cessione del quinto della pensione, dovranno quindi considerare una molteplicità di aspetti.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli in varie occasioni ha affiancato gli operatori del settore in tale analisi e assistenza, tenendo sempre monitorato lo sviluppo degli orientamenti giurisprudenziali in materia.

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Tempo di rientri e … di iniziative commerciali

Settembre è il mese dei rientri e anche di importanti iniziative commerciali da parte degli esercenti verso i consumatori.

Come possono gli operatori del commercio promotori di iniziative commerciali individuare la corretta tipologia per adeguarsi ai relativi adempimenti al fine di non incorrere in sanzioni?

Quali i criteri normativi per definire una iniziativa promozionale rispetto a un’altra?

E, infine, cosa cambia da quest’anno in riferimento alla normativa sugli sconti?

Andiamo con ordine.

1. Le manifestazioni a premio: in cosa consistono queste iniziative commerciali?

Il legislatore con il DPR 430/2001 cerca di fare ordine disciplinando, rispettivamente, la tipologia delle operazioni a premio e dei concorsi a premio nell’ambito della “macrocategoria” delle manifestazioni a premio. Vengono quindi definite:

  • operazioni a premio: quelle manifestazioni pubblicitarie che prevedono offerte di premi a tutti coloro che acquistano o vendono determinati prodotti o servizi e offrono la relativa documentazione a titolo di prova d’acquisto;
  • concorsi a premio: quelle manifestazioni pubblicitarie in cui l’attribuzione dei premi offerti non dipende dall’acquisto o dalla vendita di determinati prodotti o servizi ma dalla sorte o dalla capacità dei concorrenti di adempiere tempestivamente alle condizioni stabilite dal regolamento.

Per le operazioni a premio, quindi, l’attività promozionale è “diretta” in quanto l’acquisto o la vendita del bene o servizio promozionato è condizione essenziale. Per i concorsi a premio è “indiretta” trattandosi comunque di una tipologia di iniziativa finalizzata a favorire la conoscenza di un determinato marchio.

L’adesione all’una o all’altra tipologia implica, a carico degli operatori promotori dell’iniziativa una serie di specifici adempimenti previsti dallo stesso DPR 430/2001, accomunati da:

– predisposizione del regolamento dell’iniziativa;

– versamento della cauzione a garanzia dei premi in palio;

– comunicazione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy del verbale di chiusura dell’iniziativa;

– specifici obblighi in materia di trasparenza nelle comunicazioni pubblicitarie e commerciali.

Però, non tutte le manifestazioni pubblicitarie che offrono al cliente un plus in occasione di un acquisto, o con cui vengono comunque attribuiti premi, rientrano nell’ambito delle manifestazioni a premio.

Infatti, il DPR 430/2001 – con gli attuali chiarimenti del Ministero delle Imprese e del Made in Italy – fornisce delimitazioni in merito all’ambito di applicazione e prevede alcune esclusioni, chiarendo prima di tutto che cosa si debba intendere per “premio” ai fini della relativa applicazione.

Si parla infatti di “premio” qualora siano messi in palio beni, servizi, sconti di prezzo e titoli di legittimazione (documenti che consentono all’avente diritto di usufruire della prestazione connessa), suscettibili di valutazione economica – assoggettati a regime IVA o alla relativa imposta sostitutiva – ad esclusione del denaro e titoli a questo assimilabili

Quando non si parla di “manifestazioni a premio”? 

Il DPR 430/2001 (art. 6) esclude, tra le varie ipotesi, dall’applicazione normativa quelle iniziative in cui l’offerta di premi sia costituita da:

  • sconti sul prezzo dei prodotti e dei servizi dello stesso genere di quelli acquistati dal consumatore;
  • offerta di quantità aggiuntive di prodotti dello stesso genere;
  • sconti su prodotti o servizi di genere diverso rispetto a quello acquistato, a condizione che gli sconti non siano finalizzati a promozionare il bene o servizio acquistato;
  • offerta di oggetti di minimo valore la cui corresponsione non dipenda dall’entità delle vendite cui è collegata l’offerta;
  • offerta di buoni da utilizzare su una spesa successiva presso il medesimo esercente;
  • premi destinati a favore di enti o istituzioni pubbliche o aventi finalità sociali o benefiche.

Tre, dunque, gli elementi che fanno la differenza nello stabilire se l’iniziativa commerciale consista in una manifestazione a premi – nello specifico in un’operazione a premi, rimanendo nell’ambito delle iniziative collegate alle vendite di determinati prodotti o servizi – o meno:

  1. il genere dei prodotti o servizi oggetto di sconto o della quantità aggiuntiva offerta;
  2. l’intenzione e le finalità del promotore;
  3. il valore dei beni offerti e la loro connessione o meno con l’entità dell’acquisto.

Chiaramente l’operatore esercente e promotore dell’iniziativa dovrà avere ben chiaro l’oggetto della promozione stessa, e, soprattutto del vantaggio che intende offrire al beneficiario a fronte degli acquisti. In merito a questi aspetti lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli ha affiancato in più occasioni vari operatori al fine di coadiuvarli nella identificazione degli elementi essenziali dell’iniziativa e nell’individuazione della relativa tipologia.

Infatti, nel caso in cui non sussistano le esclusioni previste dal DPR 430/2001, l’operatore dovrà attentamente:

  • adeguarsi agli oneri e adempimenti previsti dalla normativa stessa;
  • non porre in essere manifestazioni vietate ai sensi del DPR 430/2001 (art.  8).

Il tutto al fine di non incorrere in sanzioni, consistenti, di base, in importi compresi tra una a tre volte l’ammontare dell’IVA dovuta sul montepremi (per un importo non inferiore a 2.582,28 euro).

2. Un’altra tipologia di iniziativa commerciale: la vendita abbinata

Tra le tipologie di iniziative, collegate alle vendite, che non rientrano nella “macrocategoria” delle manifestazioni a premi e, nello specifico, nell’ambito delle operazioni a premi, ne troviamo una molto in uso: la vendita abbinata, ovvero la vendita congiunta di due o più prodotti o servizi, anche di genere diverso, a condizioni vantaggiose.

Iniziativa, questa, che ad oggi è da intendersi come attività promozionale libera, a patto però che non rientri nell’ambito di quelle già specificatamente regolamentate.

Come chiarito dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy (nel riscontro alle domande frequenti – FAQ aggiornate al gennaio 2023) la vendita abbinata non rientrerebbe nell’ambito delle operazioni a premio qualora l’iniziativa, promossa da un’impresa che vende prodotti di vario genere, non dia risalto ad un prodotto rispetto all’altro. Perché l’iniziativa sia regolare in tali termini, il Ministero raccomanda agli operatori di indicare chiaramente lo sconto applicato su ogni prodotto, precisando inoltre che l’acquisto singolo di uno solo dei prodotti avverrebbe a prezzo pieno, e che nelle comunicazioni pubblicitarie non vi sia il riferimento a termini che possano essere fuorvianti per il consumatore (sul punto si veda la Risoluzione n. 376704 del 30.11.2016).

In merito alla regolare determinazione delle percentuali di sconto, inoltre, al fine di non configurare l’iniziativa in esame quale “vendita sottocosto” (soggetta agli oneri previsti dal DPR 218/2001), la stessa Risoluzione del 30.11.2016 ne stabilisce i criteri, il cui esame spetta, prima di mettere in atto l’iniziativa, alle competenti aree dell’impresa interessata.

3. Gli sconti: iniziativa commerciale con nuovi obblighi di trasparenza

Infine, tra le varie promozioni – ulteriori rispetto a quelle sopra esaminate – possiamo semplicemente trovare l’offerta di un determinato prodotto a prezzo vantaggioso rispetto a quello originario di acquisto.

Si tratta della vendita a prezzi scontati.

Tralasciando in questa sede la disciplina sulle c.d. “vendite straordinarie” (vendite di fine stagione, vendite di liquidazione e vendite promozionali per un periodo di tempo limitato, la cui regolamentazione è affidata al D. Lgs. 114/1998 e alla competenza delle Regioni), il nuovo art. 17 bis del Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206 del 06.09.2005), come introdotto dal D. Lgs. n. 26 del 07.03.2023, di recente applicazione (dal 1° luglio 2023), ha stabilito maggiori e più stringenti obblighi di trasparenza verso i consumatori in merito agli annunci di riduzione di prezzo.

L’obiettivo del legislatore è quello di garantire al consumatore ogni strumento per la valutazione sulla effettiva convenienza o meno dell’acquisto.

Viene infatti imposto all’esercente, nell’ambito della vendita di prodotti a prezzi ridotti, di:

  • indicare, per ogni annuncio di riduzione di prezzo, il prezzo precedente applicato (nei trenta giorni prima dell’applicazione della riduzione);
  • indicare, per i prodotti immessi sul mercato da meno di trenta giorni, il periodo di tempo a cui il prezzo precedente fa riferimento;
  • indicare, nel caso in cui la riduzione di prezzo sia progressivamente aumentata nel corso della medesima campagna promozionale, il prezzo originario di partenza della campagna.

Le sanzioni per chi non si adegua, si aggirano a un massimo di poco inferiore a 4.000 euro.

Va tenuto conto, inoltre, che gli annunci di riduzione di prezzo assumono rilevanza anche sotto il profilo della scorrettezza delle pratiche commerciali (secondo quanto previsto dal Codice del Consumo).

Considerazioni finali

In conclusione, gli operatori esercenti hanno a disposizione molteplici tipologie di iniziative promozionali. Tutto sta quindi nel definire il perimetro di attività, ovvero: la finalità dell’impresa; l’oggetto della promozione; l’oggetto del vantaggio che si intende offrire al consumatore, al fine di individuare la corretta operatività e ogni adeguamento in compliance con una normativa che è in continua evoluzione.

Lo Studio Legale Princivalle Apruzzi Danielli affianca le imprese nell’assistenza alla definizione e alla scelta dell’iniziativa promozionale a loro più adatta, nonché al relativo adeguamento in termini di compliance.