La natura della responsabilità ex 231/01
Come abbiamo anticipato nell’articolo precedente, la responsabilità dell’ente dipendente da reato è definita dal D.Lgs 231/01 come “amministrativa”, ma in realtà è tale solo formalmente, poiché presenta anche molte caratteristiche di una vera e propria responsabilità penale.
I motivi di questa scelta del legislatore vanno ricercati nel testo della Costituzione; infatti, l’articolo 27 stabilisce che “la responsabilità penale è personale”, e che “le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato”. Questa previsione negherebbe la possibilità di una estensione del diritto penale alle persone giuridiche, da qui la necessità di qualificare la responsabilità degli enti come amministrativa.
Negli anni si è molto dibattuto sulla natura giuridica della responsabilità ex 231/01, finché la Cassazione non ha raggiunto, tramite varie sentenze susseguitesi negli anni, un orientamento abbastanza consolidato. La Suprema Corte è infatti dell’opinione che la responsabilità degli enti derivante da reato costituisca una forma “ibrida” di responsabilità, che nasce dalla combinazione della responsabilità amministrativa con i principi ed i concetti propri dell’ambito penale. Le Sezioni Unite hanno parlato di “evidenti ragioni di contiguità con l’ordinamento penale (…) quale che sia l’etichetta che si voglia imporre su tale assetto normativo.” (Cass., sez. un., 18 settembre 2014, n.38343).
Chiarita quindi la natura della responsabilità dell’ente, riteniamo opportuno segnalare un’altra peculiarità di tale responsabilità: la responsabilità “amministrativa” delle persone giuridiche è aggiuntiva ed autonoma rispetto a quella in capo all’autore materiale dell’illecito penale. Infatti, quando all’interno di un ente viene compiuto uno dei reati-presupposto elencati nel d.lgs. 231/2001, vengono iscritte presso la Procura della Repubblica competente territorialmente due separate notizie di reato in due appositi registri: una ascrivibile alla persona fisica autrice dell’illecito, ed un’altra in capo all’ente.
Inoltre, la responsabilità ex 231/01 può, in alcuni casi, permanere anche se il processo penale nei confronti della persona fisica che ha commesso il reato non può avere corso.
Ciò può accadere nei casi indicati nell’art. 8, comma 1, d.lgs. 231/2001, ossia quando:
- l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile;
- il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
Entrambe queste fattispecie fanno sorgere nella pratica alcune problematiche che andremo ora ad analizzare, mettendo in luce quali sono state le risposte fornite dalla giurisprudenza.
Le vicende estintive e il problema posto dalla prescrizione
Come accennato sopra, l’art. 8, comma 1, lett. b) stabilisce che la responsabilità dell’ente sussiste anche nel caso in cui il reato subisca una vicenda estintiva, con l’unica eccezione rappresentata dall’amnistia (il legislatore ha ritenuto che le valutazioni politiche sottostanti ad un provvedimento di questo tipo valgano anche nei confronti degli enti).
L’autonomia della responsabilità dell’ente rispetto alle vicende estintive del reato presupposto crea dubbi con riguardo alla prescrizione. Infatti, ai sensi dell’art. 60 d.lgs. 231/2001, non si può procedere alla contestazione di cui all’art. 59 (vale a dire la contestazione nei confronti dell’ente, effettuata da parte del Pubblico Ministero, dell’illecito amministrativo dipendente da reato) quando il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione. Si deduce quindi che, viceversa, il potere di contestazione nei confronti dell’ente permane quando la prescrizione matura invece a contestazione avvenuta.
Parrebbe fin qui un ragionamento piuttosto lineare, sennonché i dubbi in questo ambito sorgono dal fatto che la disciplina della prescrizione dell’illecito dell’ente è diversa da quella penalistica: ai sensi dell’art. 22, infatti, il termine di prescrizione è di cinque anni dalla consumazione del reato, e per effetto dell’interruzione inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione la cui durata massima non è però prevista. In questo la disciplina della prescrizione dell’illecito dell’ente si discosta da quanto stabilisce l’art. 160, comma 3, del Codice penale, ai sensi del quale invece sono previsti dei termini massimi per l’aumento del periodo di prescrizione dovuto all’interruzione della stessa.
Vi sarebbe quindi il rischio che il processo penale nei confronti dell’ente prosegua, e di conseguenza che la responsabilità dell’ente possa eventualmente venire affermata, anche senza la verifica della colpevolezza della persona fisica autrice materiale del reato.
Sul punto è intervenuta la Cassazione che ha stabilito che in tema di responsabilità degli enti, nel caso di declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice deve sì “procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso”, ma senza che questo accertamento possa “prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato” (Cass. pen., Sez. VI, 25 gennaio 2013, n. 21192).
In altre parole, il giudizio sulla responsabilità dell’ente deve comunque mirare alla pienezza dell’accertamento della sussistenza del reato, nelle sue componenti oggettiva e soggettiva.
Si tratta di un ragionamento solo in apparenza esclusivamente teorico, poiché in realtà ha dei risvolti pratici per l’ente. Nella sostanza, infatti, confermando che si deve trattare comunque di un giudizio che mira ad un accertamento pieno, il chiarimento della Cassazione implica che l’ente possa avere la possibilità, in giudizio, di chiedere l’ammissione e produrre prove utili per escludere o far dubitare della sussistenza del fatto di reato, essendo quest’ultimo una componente fondamentale della fattispecie da cui discende la responsabilità dell’ente.
La mancata identificazione dell’autore del reato
Per quanto riguarda l’art. 8, lett. a), mentre l’ipotesi di autore non imputabile, cioè incapace di intendere e di volere, resta sicuramente un caso tendenzialmente teorico, la mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato è un fenomeno quasi tipico nell’ambito della responsabilità d’impresa. In effetti, si può dire che sia un’evenienza insita nella difficoltà di attribuire responsabilità personali soprattutto nell’ambito di organizzazioni articolate o comunque piuttosto complesse.
Ad esempio, basta pensare ai cosiddetti casi di imputazione soggettivamente alternativa, cioè quelle ipotesi in cui il reato è senz’altro riconducibile ai vertici dell’ente, ossia due o più amministratori, ma manchi la prova della loro responsabilità individuale.
Secondo la lettera dell’art. 8, comma 1, lett. a) del d.lgs. 231/2001, la conseguenza per l’ente è che, anche nei casi in cui per la complessità dell’assetto organizzativo interno non sia possibile riferire la responsabilità penale ad un determinato soggetto, ma risulti comunque accertata la commissione di un reato, l’ente ne dovrà rispondere sul piano della responsabilità amministrativa. Questo, naturalmente, a condizione che comunque sia imputabile all’impresa una colpa organizzativa, una negligenza consistente nell’aver adottato un modello organizzativo carente, o addirittura nel non averlo adottato affatto (tema su cui torneremo approfonditamente nel prossimo articolo).
Questa è la conclusione a cui è giunta la Cassazione in svariate sentenze. Nella sentenza n. 20060 del 4 aprile 2013, ad esempio, la Sezione V della Cassazione penale ha affermato che l’autonomia della responsabilità dell’ente non si riferisce tanto ad una indipendenza dell’illecito amministrativo a suo carico rispetto al reato presupposto: lo dice il termine stesso, l’illecito amministrativo presuppone, e quindi dipende, da quello penale. Piuttosto, la disposizione di cui all’art. 8 segnala l’autonomia delle due condanne sotto il profilo processuale. Nella prassi, quindi, perché vi sia responsabilità dell’ente è necessario che venga compiuto un reato da parte di un soggetto riconducibile all’ente stesso, ma non anche “che tale reato venga accertato con individuazione e condanna del responsabile.”
Tuttavia, come vedremo prossimamente, l’imputazione dell’illecito all’ente si fonda su parametri differenti a seconda che autore materiale del reato presupposto sia un soggetto apicale oppure sottoposto. Per questo motivo, sempre la Cassazione ha delimitato l’autonomia della responsabilità dell’ente ex 231. Infatti, pur ribadendo il principio dell’autonomia della responsabilità dell’ente e della tendenziale irrilevanza della mancata individuazione dell’autore del reato, la Suprema Corte ha affermato che è quantomeno necessario stabilire se l’autore sia un soggetto apicale oppure subordinato (Cass. pen., Sez. VI, sentenza n. 28299 del 7 luglio 2016).