Con sentenza del 15 febbraio 2023 n. 1208 il Tribunale di Milano ha stabilito la responsabilità di Facebook quale internet service provider e condannato la stessa al risarcimento dei danni patiti dalla società Snaitech S.p.A, insieme ai dottori GI. de SI. e AL. AM., per la mancata rimozione di post diffamatori pubblicati nelle pagine «Truffa Snaitech» e «Snaitech Truffa», a nulla rilevando la limitata esposizione e visione degli stessi.
Il caso rientra nella fattispecie disciplinata dall’articolo 16 del Decreto legislativo n. 70/2003, emesso in recepimento della Direttiva 2000/31/CE, nota come Direttiva E-commerce. La norma stabilisce che «il prestatore non è responsabile delle informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio, a condizione che il prestatore:
Per comprendere il motivo sotteso alla riconosciuta responsabilità di Facebook quale internet service provider, questa disposizione deve essere interpretata alla luce dell’orientamento della Suprema Corte italiana (nelle sentenze gemelle n. 7708–7709, del 9 marzo 2019), ed europea (Sentenza della Grande Sezione del 22 giugno 2021, cause riunite C-682/18 e C-683/18). In tali pronunce l’hosting provider non è tenuto a effettuare un controllo diffuso dei contenuti sulle piattaforme di propria competenza, ad esclusione -fino a che non ne venga a conoscenza- della ricerca attiva di attività illecite.
A prescindere dalla differenza in termini di definizione e relativa responsabilità tra l’Internet Service Provider (ISP) attivo, che la Cassazione civile nella sentenza n. 7708 individua nel «prestatore dei servizi della società dell’informazione che svolge un’attività che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo» e quello passivo, il Tribunale ha riconosciuto, sul piano oggettivo, la responsabilità di Facebook quale internet service provider sulla base di quella che ha definito: «condotta commissiva mediante omissione e, quindi, di aver concorso nel comportamento lesivo altrui a consumazione permanente», per non aver cancellato i post diffamatori dei quali fosse al corrente.
Sotto il profilo soggettivo, la conoscenza dell’attività manifestamente illecita di cui non si impedisce la realizzazione connota la fattispecie come ipotesi di responsabilità per fatto proprio colpevole e non la diversa responsabilità oggettiva o per fatto altrui.
L’onere della prova (condotta, evento, nesso causale ed elemento soggettivo), va dunque a carico dei ricorrenti.
Il Tribunale si è focalizzato sulla conoscenza dell’evento da parte di Facebook e sulla manifesta illiceità.
Con riguardo al primo aspetto, nel caso concreto, la duplice segnalazione da parte della società lesa dei comportamenti illegittimi avvenuti sulla piattaforma è risultata decisiva.
Il successivo riscontro negativo da parte di Facebook ha reso incontrovertibile la sua conoscenza dell’esistenza dei post diffamatori, così questo primo aspetto è stato dimostrato.
Rispetto al carattere manifestamente illecito dell’attività, sopra abbiamo chiarito come, per essere manifestamente illecita, l’attività debba essere riconoscibile dal provider «senza particolare difficoltà, con riferimento all’esperienza, conoscenze tipiche e diligenza professionale esigibili».
In questo caso, l’illiceità della condotta è stata rinvenuta nel fatto che l’autore del contributo pubblicato ha asserito, sulla base di mere convinzioni personali, una responsabilità penale della Snaitech per la commissione di svariati illeciti, e questa affermazione era senza alcun fondamento rispetto a quanto risultante negli atti giudiziari.
In questo modo si è determinata la palese lesione dell’onore e della reputazione degli interessati.
L’ulteriore circostanza per cui l’autore del contributo pubblicato sulla piattaforma social, al dichiarato fine di diffondere le false informazioni, ha volontariamente divulgato nomi e cognomi dei soggetti interessati, ha escluso l’applicazione della scriminante dell’esercizio del diritto di critica (quale espressione della libertà di manifestazione del pensiero ex art 21 Cost).
Si è osservato come, altrimenti, «si attribuirebbe a ciascuno il diritto di attribuire prima, e diffondere poi, anche tramite social network, notizie in merito alla perpetrazione di reati sulla base di mere intime convinzioni. Si comprende che consentire ciò avrebbe pervasivi effetti deleteri per l’onore e la reputazione dei soggetti esposti ad aggressione mediatica, anche in ragione dell’ampia capacità diffusiva dei contenuti che ospitano le piattaforme cd. Social».
Sicché, anche in ragione della struttura tecnica e organizzativa di cui Facebook dispone, il Tribunale ha ritenuto che potesse facilmente riconoscere la natura manifestamente diffamatoria dei contenuti oggetto di rimozione e conseguentemente la responsabilità di Facebook come internet service provider nella condotta.
In ordine alla sussistenza del danno non patrimoniale e alla pretesa di risarcimento per € 100 mila per ogni attore, inoltrata dalla Snaitech -alla luce della richiamata sentenza di Cassazione civile sez. III, 18.11.2022 n.34026- nel caso di specie, l’allegazione di circostanze di fatto e di elementi costituitivi tali da determinare una lesione della sua reputazione fossero idonei a far sorgere questa pretesa e a nulla rileva la sua qualifica di persona giuridica.
Tuttavia, il Tribunale, pur imputando a Facebook la responsabilità e riconoscendo la potenzialità diffusivo-lesiva dell’informazione permessa dalla piattaforma nonostante l’esiguità dei post e lo scarso seguito degli stessi (in relazione ai ‘mi piace’ o ‘commenti’ registrati), ha quantificato e liquidato come danno l’esiguo importo di 5000 euro per ogni ricorrente, confinando il risarcimento del danno non patrimoniale alla fascia medio-bassa delle tabelle di calcolo proprie dell’Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano.